Che mesi!

Gli ultimi mesi sono stati a dir poco ricchi. Dapprima la “galoppata” del Palio, con tutte le sue emozioni, scoperte, affanni e soddisfazioni. Poi un cammino che continua, quello con gli amici del direttivo della Compagnia delle Opere e la mia recente elezione. Infine, un riconoscimento che non poteva chiudere meglio un anno rotariano vissuto davvero a pieno.

Non credo che queste cose siano sganciate, anzi, penso che siano fortemente connesse e traggano origine da qualcosa di “costitutivo”, ossia un modello di vita che attinge a piene mani dall’essere cattolici e, come tali, indissolubilmente legati all’impegno civile nelle sue diverse declinazioni.

Le persone con cui ho condiviso un percorso lo sanno benissimo: esserci significa anche fare. Essere in una Comunità non è un fatto biologico, un mero spostamento di, ahimè, una quintalata abbondante di carne, lungo le strade, ma significa avere consapevolezza del proprio esistere in un contesto sociale fatto di relazioni, bisogni e progetti.

Essere significa avere osmosi con il proprio ambiente, cercare di mantenere quella difficilissima sensibilità che ti permette di cogliere un bisogno che può non essere neanche espresso.

Che si sia in parrocchia, in un’associazione, in un club o altro, essere significa fare un investimento di empatia ed uno sforzo di lettura. Sorvolare o planare, come spesso accade, sulla realtà è triste. Magari può dare vantaggi a breve termine, ma non ha prospettiva.

Ragionare solamente su sé stessi aiuta a scegliere agevolmente il passo, non fa perdere tempo nel decidere, ma spesso rende inutile il cammino.

Esattamente come in una famiglia. E una comunità è una famiglia.

Una famiglia con qualche parente cui vuoi particolarmente bene, taluni che vedi poco, altri che -magari- vorresti vedere anche meno. Ma pur sempre una famiglia.

Il nostro mondo è questo, così ci è stato dato e possiamo solo decidere se cercare di tagliarlo fuori o accettare di sporcarci le mani, di contaminarci e scrivere insieme qualche pagina.

Negli ultimi anni ho avuto modo di conoscere tante persone. Proprio tante. Ovviamente, tutte diverse tra loro, qualcuna illuminante, qualcuna neutra, qualcuna che ancora ti fa ragionare sul sottile senso di umorismo del Creatore. Eppure, tutte hanno avuto un ruolo profondo, tutte hanno svolto il proprio compito, sia che la loro fosse una parte buona, sia che fosse negativa. Tutte hanno fatto quello che dovevano fare e tutte hanno contribuito a creare ognuno di noi, la sua personalità e le sue idee.

In questo mare magnum, non posso non rendere grazie per alcune persone che ho trovato sulla mia strada, credo non incidentalmente, e che hanno saputo confermarmi, anche nei momenti più brutti, quanta bellezza ci sia nel nostro esistere ed essere sociali.

Anche davanti alla peggiore arrabbiatura, davanti alla persona che, in quei momenti, ti appare la più abbietta, la vicinanza dei rispettivi contraltari è un insegnamento impagabile.

Due convinzioni mi porto a casa quest’anno: la prima è che ho una moglie davvero speciale, di una pazienza rara, quella pazienza che solo l’amore ti dona. Non so quante volte ho rischiato di assomigliare ad una venere dei coltelli di Arman, ma sono ancora qui, e anche questo fa parte del mistero della vita. Grazie, Silvia.

La seconda è che non possiamo esistere veramente senza metterci in gioco con gli altri. Siamo nati per essere relazione, siamo nati per essere problema e soluzione. Siamo umani e dobbiamo ricordarcelo ogni istante delle nostre giornate.