Una matrioska culturale

Un team di ricercatori della Nara National University ha scoperto 180 artefatti all’interno di una statua giapponese del bodhisattva Manjushri scolpita più di 700 anni fa. Anche se non era inusuale inserire oggetti nelle antiche statue buddhiste, i ricercatori non si aspettavano sicuramente che la tomografia rivelasse un numero così elevato di manufatti. Almeno per ora rimarrà comunque un mistero il contenuto degli oggetti e delle pergamene nascoste al suo interno, dato che la statua sacra non verrà aperta e tornerà al tempio di Hokke-ji.

Ricordiamo che non si tratta di un caso isolato. Già nel 2015 la statua di un Buddha, databile tra il 1050 and 1150 e conservata nelDrents Museum di Assen, nascondeva un corpo da oltre mille anni.

Una tac ha rivelato che la statua di cartapesta dorata fungeva da ‘guscio’ e celava al suo interno uno scheletro umano perfettamente conservato. Il corpo sarebbe quello di un monaco a gambe incrociate e nella tipica posizione della meditazione.

Le immagini stanno facendo il giro del mondo e secondo la CBS il monaco racchiuso all’interno della statua si sarebbe sottoposto alla pratica dell’auto-mummificazione: una antica tradizione propria dell’ascetismo buddista cinese che prevedeva un lunghissimo processo di digiuno e avvelenamento che portava alla morte per disidratazione e intossicazione. Lo scheletro ritrovato nella statua sarebbe appartenuto a Liuquan, maestro buddista della scuola cinese vissuto tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo. Per la religione buddista chi si sottopone all’automummificazione non muore, ma rimane in meditazione in eterno.

Una volta scoperto il corpo all’interno della statua, le sorprese non sono finite: al posto degli organi, la mummia era stata riempita on pergamene scritte nell’antica scrittura cinese e altri oggetti ancora da identificare. La statua, ora, si trova presso il Museo di Storia Naturale di Budapest, in Ungheria.